martedì 17 novembre 2009

Beato Marco d'Aviano (Cappellano dell'Esercito Imperiale austriaco)

Marco d'Aviano, venerabile. Nacque ad Aviano (Udine) il 17 nov. 1631 dai distinti coniugi Marco Cristofori e Rosa Zanoni ed ebbe, al Battesimo, il nome di Carlo Domenico. Ricevette la prima istruzione da un precettore del paese e, in età conveniente, i genitori lo affidarono al collegio dei Gesuiti di Gorizia. II ragazzo, di carattere timido ma sognatore, si lasciò prendere dall'entusiasmo e un giorno, al rientro degli allievi da una passeggiata, mancò all'appello: era fuggito per andare a convertire i Turchi. Dopo due giorni di cammino batté spossato alla porta dei Cappuccini di Capodistria.
La crisi giovanile si risolse con la chiamata di Dio al chiostro e, il 21 novembre 1648, egli vestí l'abito nel noviziato di Conegliano, mutando il nome di Battesimo in quello di Marco. Dovette vincere alcune difficoltà; tra l'altro, i superiori, in un primo tempo, non pensavano di ammetterlo allo studio. Fu l'intuito di Fortunato da Cadore, poi ministro generale, che aprí al giovane religioso la via della cultura per lui tutt'altro che facile. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale il 18 settembre 1655, cominciò subito, non senza qualche timore, l'apostolato della parola.
Nel 1670 fu nominato superiore del convento di Belluno e, dopo due anni, di quello di Oderzo. Il peso della responsabilità ostacolava però il suo profondo desiderio di solitudine e di preghiera e pertanto i superiori, accogliendone la richiesta, lo trasferirono a Padova. Là un panegirico, che il servo di Dio dovette tenere per ubbidienza, lo rivelò al gran pubblico della dotta città, non tanto forse per l'eloquenza del dire, quanto per un fatto prodigioso. Da quel momento ebbe inizio un intenso ritmo di vita che portò Marco sulle strade non solo del Veneto, ma di quasi tutta l'Europa. Queste predicazioni e questi viaggi furono contrassegnati dalla sempre crescente fama taumaturgica.
Le numerose relazioni private e diplomatiche esaltano questa potenza; qualche voce discorde accenna anche a suggestioni e scene di fanatismo. A parte il giudizio sui singoli casi, che può richiedere uno spassionato esame critico, resta il fatto che Marco sfuggiva, per quanto possibile, gli onori e conduceva vita austera e di profonda pietà. Egli si valeva, per i suoi interventi a favore di bisognosi e malati, di una particolare formula di benedizione, che rimase famosa e gli creò qualche noia da parte delle autorità ecclesiastiche. La fama oltrepassò i confini d'Italia, cominciarono a giungere richieste ai superiori e al papa per avere lo straordinario apostolo. Egli compí un primo viaggio nel 1680 visitando il Tirolo, la Baviera, Salisburgo e altre città austriache.
Si recò quindi a Linz, dove era atteso dall'imperatore; vi si trattenne quindici giorni ed iniziò cosí quel rapporto tra Marco e Leopoldo I, che ebbe notevoli effetti sulla vita politica del tempo. L'imperatore, rimasto famoso per la lunga durata del suo governo (quarantasette anni) e per la complessità del carattere, trovò nel cappuccino il proprio confidente e consigliere, come dimostra la lunga corrispondenza intercorsa tra i due. Da Vienna Marco si trasferí a Neuburg, dove operò un grande prodigio. Ritornato a Venezia, nella primavera successiva intraprese un nuovo viaggio per le Fiandre, attraverso la Francia. Con pretesti burocratici, ma in realtà per motivi politici, Luigi XIV non permise al cappuccino di passare per Parigi; anzi - e pare in malo modo - lo fece accompagnare alla frontiera. Compiuta la missione in Fiandra, ancora attraverso la Germania e la Svizzera, Marco ritornò in Italia, ma per breve tempo. Sollecitato da continue richieste da parte del re di Spagna, il papa avrebbe voluto che Marco si recasse in quella nazione. Avrebbe dovuto imbarcarsi a Genova, ma poiché soffriva il mare, gli si richiese un lasciapassare per la Francia meridionale, che Luigi XIV ostinatamente rifiutò.
Le vicende dei tempi ricondussero Marco a Vienna e lo prepararono al grande compito che caratterizza il secondo periodo della sua vita, la lotta contro i Turchi. Questi nella loro avanzata si erano spinti fin sotto Vienna alla quale avevano posto l'assedio. Marco, spinto dallo zelo e dalle vive raccomandazioni di Innocenzo XI, si portò al campo imperiale, vinse le riluttanze, appianò le divergenze, animò i soldati e soprattutto il coraggioso Giovanni Sobieski con l'incrollabile richiamo all'aiuto divino, e Vienna fu liberata (1683). Il servo di Dio, scrivendone al papa attestava che la liberazione era avvenuta «per miracolo».
La vittoria la si sarebbe potuta sfruttare, inseguendo il nemico in fuga e liberando le altre città invase, ma la persistente rivalità tra i principi frustrò la felice occasione. Marco tuttavia continuò nella sua opera di persuasione, arrivando perfino a suggerire piani strategici. Con la forza della volontà e con il prestigio riuscí a vedere la sconfitta definitiva dell'Islam in Europa con le battaglie di Budapest (1684-1686), Neuhäusel (1685), Mohacz (1687) e Belgrado (1688), fino alla pace di Karlowitz (1689). Nel 1684 era riuscito a far entrare nella Lega Santa anche Venezia e soleva dire che, se avesse potuto parlare con Luigi XIV, avrebbe convinto anche lui. Finite le campagne, il servo di Dio riprese instancabile la sua opera pastorale, richiamando le coscienze, combattendo il peccato, incitando alla pace e all'unione, rifuggendo dagli artifici della politica ufficiale, resistendo alle diffidenze, di cui si sentí fatto oggetto talvolta da parte della stessa diplomazia pontificia.
Nel 1699 si sobbarcò ad un ultimo viaggio a Vienna: «Non ne, posso piú - disse - ma il Papa comanda». Era affetto da un tumore che lo consumava. Il 25 luglio si mise a letto ed il 13 agosto morí, assistito dall'imperatore. Dopo solenni funerali, il suo corpo trovò riposo definitivo (1703 ) nella cripta dei Cappuccini di Vienna, accanto alle tombe imperiali. L'11 dicembre 1912, s. Pio X firmò il decreto d'introduzione della causa di beatificazione.
Di lui rimangono alcuni trattatelli ascetici, che godettero ai suoi tempi grande diffusione. Egli, di solito, viene raffigurato nell'atto di predicare. Il pittore polacco Matejko, in un quadro conservato nella Pinacoteca Vaticana, lo ha raffigurato a cavallo, dietro Giovanni Sobieski, nel trionfo dopo la liberazione di Vienna.


Cfr. CASSIANO DA LANGASCO, Marco d'Aviano in Bibliotheca Sanctorum,VIII, Roma 1967, col. 704-706.

giovedì 5 novembre 2009

Francesco d'Assisi e la quinta crociata

Francesco era ben cosciente del pericolo rappresentato dall'espansionismo islamico tanto che, ancora giovanissimo, nel 1204 o nella primavera del 1205 decise di recarsi in Puglia per combattere fra le fila di Gualtiero di Brienne (1Cel 4: FF 325). Giunto a Spoleto un'esperienza interiore straordinaria sconvolse i suoi progetti, spingendolo a tornare ad Assisi, dove iniziò un cammino di conversione che lo trasformò da aspirante cavaliere e uomo d'armi in uomo evangelico, autentico portatore di pace. Una pace vera però, sofferta, fatta di innumerevoli gesti concreti di riconciliazione e di giustizia, non un pacifismo velleitario e ideologico. Furono numerosi nella sua vita i frutti di pace e un episodio, in particolare, li riassume idealmente tutti: quello del lupo di Gubbio (Fior. XXI: FF 1852). Il momento culminante del famoso fioretto vede Francesco indurre il popolo e il lupo a stringere un patto di pace: il lupo depone la sua ferocia e i cittadini si impegnano a nutrirlo ogni giorno. E questo dura per due anni, finché l'animale muore di vecchiaia portando con sé il ricordo di Francesco, che egli risvegliava con la sua ormai mite presenza. Alcuni storici ipotizzano che il lupo in questione fosse in realtà un pericoloso brigante della zona aiutato dal santo a reinserirsi nel corpo sociale. Quale che sia la realtà storica resta il valore indiscusso di una vita spesa per il ristabilimento della pace individuale e sociale: una pace garantita dalla fede e da un rinnovato senso di giustizia.
Ma qual era l’atteggiamento di Francesco di Assisi di fronte al problema posto all’epoca dal mondo islamico in continua e violenta espansione? Qual era il suo atteggiamento di fronte alle crociate? Ebbene proprio la Quinta crociata si svolse in un arco di tempo dal 1217 al 1221 ed ebbe come primo obiettivo la conquista del porto egiziano di Damietta. Il piano strategico, piuttosto ardito, prevedeva un attacco all’Egitto e la presa del Cairo per assicurarsi il controllo della penisola del Sinai. Questo piano tuttavia non poté essere portato a compimento a causa del mancato invio dei rinforzi promessi dall’imperatore Federico II dopo la presa di Damietta, che quindi verrà nuovamente persa nel 1221. Il 24 giugno 1219 le cronache affermano che Francesco si imbarcò ad Ancona con dodici compagni per raggiungere Acri e poi Damietta, dove l’esercito crociato si schierava contro l’esercito mussulmano. Francesco visitò il campo crociato ma a quanto ci risulta restò amareggiato dalle faziosità e dalle divisioni interne: predisse cosí una disfatta che la realtà non tardò a confermare (29 agosto 1219; cfr. FF 617). Non dovevano certo essere rilievi inconsistenti e anche secoli dopo l’ambasciatore imperiale a Costantinopoli, verso il 1554, rilevava:
«Là [presso i turchi] troviamo le risorse di un potente impero: forze intatte, abitudine alla vittoria, resistenza alla fatica, unità, disciplina, frugalità, vigilanza. Qui, povertà pubblica, lusso privato, fiacchezza, morale a pezzi, scarsa resistenza e preparazione; i soldati sono insubordinati, gli ufficiali corrotti; vigono il disprezzo per la disciplina, la sregolatezza e l'imprudenza; ubriachezza e condotta dissoluta sono generalizzate, e, quel che è peggio, il nemico si è abituato alla vittoria e noi alla sconfitta. Possono esserci dubbi sui risultati? L'unico punto a nostro favore è la Persia; perché il nemico, benché impaziente di attaccare, deve tuttavia tener d'occhio questa minaccia alle sue spalle. Ma la Persia può solo rimandare il nostro destino; non può salvarci. Quando i turchi avranno regolato i conti con la Persia, ci salteranno alla gola, col sostegno di tutta la potenza dell'Oriente; quanto siamo impreparati a questo evento non oso nemmeno immaginarlo!» (The Turkish Letter of Ogier Ghislain de Busbecq, Imperial Ambassador at Costantinople 1554-1562, tradotto dal latino da Edward Seymour Forster, Oxford 1927, 112, riportato da LEWIS B., Il suicidio dell'Islam. In che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale, Milano 2002, 11).
È noto che Papa Onorio III non riconobbe la Quinta crociata come legittima. Proprio in attesa di quello scontro Francesco ottenne dal legato pontificio (il benedettino portoghese Pelagio Galvao, cardinale vescovo di Albano di cui si tratta in DONOVAN J. P., Pelagius and the fifth Crusade, Filadelfia 1950) di potersi recare, a suo rischio e pericolo, in visita al sultano Melek-el-Kamel. Francesco, accolto da questi con raffinata ospitalità, poté parlare del Vangelo ma non vedendo frutti di conversione poco dopo fece ritorno al campo cristiano. Il 5 novembre 1219 Damietta venne conquistata dai crociati. Anche in questa occasione Francesco espresse disapprovazione per gli eccessi compiuti e per la condotta delle truppe. Nel gennaio 1220 cinque frati inviati in Marocco vennero uccisi dai mussulmani: furono i primi martiri dell'Ordine francescano; primi di una lunga serie di vittime e di dialoghi infruttuosi. Prima di riflettere sui fatti appena esposti tuttavia sarà bene leggere una delle cronache piú interessanti dell'epoca. Si tratta della Chronique d'Ernoul et de Bernard le Trésorier (il testo tradotto in italiano è reperibile in FF 2231-2234).
Il testo originale della Chronique è in francese antico ed è riportato da GOLUBOVICH G., Biblioteca biobibliografica della Terra Santa e dell'Oriente francescano (d'ora in poi BBT), I, 10-13, a cui è bene rifarsi per avere notizie piú ampie. Ernoul, continuatore del lavoro dell'arcivescovo Guglielmo di Tiro, trascorse gran parte della sua vita in Oriente dove si era recato come scudiero di Baliano II d'Ibelin e fu pertanto un testimone oculare di parecchi avvenimenti tra la terza e la quinta crociata, che egli narrò nella sua Cronaca, giunta a noi attraverso la trascrizione di Bernardo il Tesoriere che sembra l'abbia scritta dal 1229 al 1231, benché secondo alcuni autori l'opera sia databile tra il 1227 e il 1229. Interessante, anche per la bibliografia, l'opera di RUNCIMAN S., A History of Crusades, II, London 1965, 477-478; idem, III, London 1965, 481-482.
La stessa sobrietà del racconto di Ernoul sembra possa escludere dubbi circa la veridicità del medesimo. Bisogna notare tuttavia che il testo originale che va dal 1184 al 1197 è andato perduto e se è giunto fino a noi lo dobbiamo ad una versione dell'Eraclito di Guglielmo di Tiro e all'opera dello stesso Bernardo il Tesoriere che nel 1231 ne riprese il testo e lo compendiò. Questo testo in francese antico venne poi pubblicato nel 1871 a Parigi da L. de Mas-Latrie. Quanto all'Eraclito succitato si tratta del volgarizzamento in francese della Historia rerum in partibus transmarinis gestarum scritta da Guglielmo di Tiro e delle sue continuazioni fino al 1291. La prima di tali continuazioni, quella in cui si trova la notizia su san Francesco, giunge fino al 1231.
In merito all'opera BERNARDI THESAURARII, Liber de Acquisitione Terrae Sanctae, in BBT, I, 13-14 si deve rilevare che il testo latino è dell'epitomatore fra' Francesco Pipino da Bologna, O.P. che narra i fatti dal 1195 al 1230. Pipino, che tradusse l'opera attorno al 1320, attribuisce esplicitamente il racconto dell'episodio a Bernardo il Tesoriere. Benché la trascrizione di Bernardo si collochi negli ultimi anni del decennio 1220-1230, la notizia che ci interessa appare ritrascritta nella forma originale: a garantircelo è proprio il fatto che Francesco vi appare ancora come uno sconosciuto, assimilabile a qualsiasi altro chierico, a differenza di quanto si vedrà a proposito della non molto piú tardiva testimonianza contenuta nella Storia di Eraclito. Una raccolta abbastanza completa delle testimonianze sull'episodio di Damietta si trova nella già citata opera di GOLUBOVICH G., BBT, I, 2-84. Per una diligente analisi delle fonti invece, nell'intento di scoprire il senso della ricerca del martirio da parte di san Francesco, vedasi OKTAVIAN VON RIEDEN, Das Leiden Christi im Leben des hl. Franziskus, in CF, XXX (1960), 365-370, dove si trova anche un'esauriente bibliografia. Interessante anche l'articolo di CROIZY-NAQUET C., Deux représentations de la troisième croisade: l'histoire de la guerre sainte et la Chronique d'Ernoul et de Bernard le Trésorier, in Cahiers de civilisation médiévale, 44 (2001), 313-327.

La «Chronique d'Ernoul et de Bernard le Trésorier»
«1. Ora vi dirò di due chierici che si trovavano nell'esercito a Damiata. Un giorno si recarono dal cardinal (legato), e gli manifestarono la loro intenzione di andare a predicare al Sultano; ma volevano fare questo con il suo beneplacito. Il cardinale rispose che, per conto suo, non avrebbe mai dato né licenza né comando in tale senso, perché non voleva concedere licenza che si recassero là dove sarebbero stati senz'altro uccisi. Lo sapeva bene lui, che se ci andavano, non ne sarebbero tornati mai piú. Ma essi risposero che, se ci andavano, lui non avrebbe avuto nessuna colpa, perché non era lui che li mandava, ma semplicemente permetteva che vi andassero. E tanto lo pregarono che il cardinale, constatando che avevano un proposito cosí fermo, disse loro: «Signori miei, io non conosco quello che voi avete in cuore e quali siano i vostri pensieri, se buoni o cattivi; ma se ci andate, guardate che i vostri cuori e i vostri pensieri siano sempre rivolti al Signore Iddio». Risposero che non volevano andare dal Sultano, se non per compiere un grande bene, che bramavano portare a compimento. Allora il cardinale disse che potevano pure andarci, se lo volevano, ma che non si pensasse da nessuno che era lui a inviarli.
2. Allora i due chierici attraversarono il campo cristiano, dirigendosi verso quello dei Saraceni. Quando le sentinelle del campo saraceno li scorsero che si avvicinavano, congetturarono che certo venivano o come portatori di qualche messaggio o perché avevano intenzione di rinnegare la loro fede. Si fecero incontro, li presero e li condussero dal Sultano. Introdotti alla presenza del Sultano, lo salutarono. Il Sultano rispose al saluto e poi domandò loro se intendevano farsi saraceni oppure portavano qualche messaggio. Essi risposero che giammai si sarebbero fatti musulmani, ma piuttosto erano venuti a lui portatori di un messaggio da parte del Signore Iddio, per la salvezza della sua anima. E proseguirono: «Se tu, sire, vorrai credere alle nostre parole, noi consegneremo la tua anima a Dio, perché ti diciamo in verità che se tu morrai in questa legge che ora professi, sarai perduto né mai Dio avrà la tua anima. Proprio per questo noi siamo venuti. Ma se ci darai ascolto e vorrai comprendere, noi ti mostreremo con argomenti irrefutabili, alla presenza dei piú saggi dottori del regno, se li vorrai convocare, che la vostra legge è falsa». Il Sultano rispose che egli aveva dignitari maggiori e minori della sua legge e gli incaricati del culto e non poteva neppure ascoltare quello che essi volevano dire, se non alla loro presenza. «Molto bene, - risposero i due chierici -. Mandali a chiamare, e se noi non riusciremo a dimostrare con solidi argomenti che è vero quanto asseriamo, che cioè la vostra legge è falsa, sempre che vogliano ascoltare e comprendere, ci faccia pure mozzare la testa». Il Sultano allora convocò nella sua tenda i dignitari e sapienti. E cosí si trovarono insieme alcuni dei maggiori dignitari e dei piú saggi del suo regno e i due chierici.
3. Quando furono radunati insieme, il Sultano espose il motivo per cui li aveva convocati ed ora erano qui alla sua presenza, quello che i due chierici gli avevano proposto e la ragione della loro venuta alla sua corte. Ma essi gli risposero: «Sire, tu sei la spada della legge: a te il dovere di custodirla e di difenderla. Noi ti comandiamo, da parte di Dio e di Maometto, che ci ha dato questa legge, di far subito decapitare costoro. Quanto a noi non ascolteremo mai quello che essi dicono. Ma anche te mettiamo sull'avviso di non ascoltarli, perché la legge proibisce di prestar orecchio ai predicatori di altra religione. Se poi c'è qualcuno che voglia predicare o parlare contro la nostra legge, questa stessa stabilisce che gli sia mozzata la testa. Per questo ti comandiamo, da parte di Dio e della legge, che tu faccia subito tagliar loro la testa, come è prescritto».
4. Detto questo, presero congedo e se ne andarono senza piú voler ascoltare nessuna parola. Rimasero soli il Sultano e i due chierici. Allora il Sultano disse loro: «Signori miei, mi hanno detto, da parte di Dio e della legge, che io devo farvi decapitare, perché cosí è prescritto. Ma io, per questa volta andrò contro la legge; non sia mai che io vi condanni a morte. Sarebbe una ricompensa malvagia fare morire voi, che avete voluto, coscientemente, affrontare la morte per salvare l'anima mia nelle mani del Signore Iddio». Poi il Sultano aggiunse che se essi volevano rimanere con lui, li avrebbe investiti di vaste terre e possedimenti. Ma essi risposero che non volevano punto rimanerci, dal momento che non li si voleva né sentire né ascoltare, e perciò sarebbero tornati nell'accampamento dei cristiani, se lui lo permetteva. Il Sultano rispose che volentieri li avrebbe fatti ricondurre sani e salvi nell'accampamento cristiano. Ma intanto fece portare oro, argento e drappi di seta in gran quantità, e li invitò a prenderne con libertà. Essi protestarono che non avrebbero preso nulla, dal momento che non potevano avere l'anima di lui per il Signore Iddio, poiché essi stimavano cosa assai piú preziosa donare a Dio la sua anima, che il possesso di qualsiasi tesoro. Sarebbe bastato che desse loro qualcosa da mangiare, e poi se ne sarebbero andati, poiché qui non c'era piú nulla da fare per loro. Il Sultano offrí loro un abbondante pasto. Finito essi si congedarono da lui, che li fece scortare sani e salvi fino all'accampamento dei cristiani» (FF 2231-2234).
Quello che colpisce in questo racconto è l’atteggiamento umile, deciso e sincero dei due chierici. Sono ben consci di portare un messaggio di verità ma questo non li rende sprezzanti. Al Legato chiedono il permesso di avviare un confronto rispettoso ma franco e aperto, non tentano di accattivarsi la benevolenza del sultano. Essi si manifestano come uomini di dialogo ma anche come uomini concreti; per loro l’incontro deve portare ad una determinazione; è uno strumento di comunione e non una tattica d’elezione, fine a se stessa, per una politica irresoluta. Forse è per questo che di fronte ad un rifiuto netto non insistono e preferiscono lasciare il campo mussulmano. Colpisce anche l’atteggiamento del sultano, certo piú aperto e disponibile dei suoi ministri di culto, ma incapace di uscire piú di tanto dagli schemi impostigli. In ogni caso i due chierici rifiutano nettamente la lusinga delle ricchezze ed evitano accuratamente che essa prevalga sul messaggio di fede di cui vogliono essere portatori autentici. Chiedono con semplicità solo un po’ di cibo per poter poi riprendere il cammino verso il campo crociato. La cronaca non riporta niente sul loro stato d’animo subito dopo l’incontro. Non è difficile tuttavia comprenderne il dolore per un’occasione di pace perduta. Tale doveva essere appunto lo stato d’animo di Francesco il quale non gli impedirà di condannare la violenza che purtroppo si manifesterà piú tardi nella battaglia di Damietta tanto feroce quanto inutile. Francesco però non è un pacifista a senso unico: non contesta aprioristicamente la crociata, ne contesta semmai gli eccessi, le violenze inutili, come a dire che il cavaliere cristiano anche nella tristezza di una guerra inevitabile deve sempre distinguersi per senso di umanità e di giustizia. Lui che aspirava a diventare un vero cavaliere, lui che soffrí nelle carceri di Perugia dopo la battaglia vissuta con le milizie di Assisi (FF 584) non concepiva l’uso gratuito e spregiudicato della forza senza misura e senza regole.
Francesco con un gesto insolito e ardito tenta cosí di capovolgere gli schemi secolari basati sulla guerra santa. Ernoul sembra voler sottolineare che il gesto dei "due chierici" è una sfida agli atteggiamenti mentali che stavano alla base dei rapporti tra il mondo cristiano e quello mussulmano dell’epoca. Una sfida che Francesco intende portare nell’ambito della comunione ecclesiale; tentativo in parte vanificato dalle resistenze del cardinale legato che non vuole assumersi la responsabilità di ufficializzare il gesto con il proprio consenso. Le plausibili diffidenze della controparte mussulmana, che si concretizzano nel proposito esplicito di eliminare i due chierici, sono personificate nei rappresentanti ufficiali della fede islamica. Tra i due mondi sembra che non vi sia possibilità d’intesa e su questo giudizio sono concordi anche le testimonianze di Giacomo da Vitry (FF 2210-2213) e Bernardo il Tesoriere (FF 2231-2234) nel testo riproposto quasi un secolo piú tardi dal domenicano Francesco Pipino da Bologna che riecheggia da vicino il racconto di Ernoul.
Secondo alcuni autori (vedasi l’interessante contributo di BASETTI-SANI G., voce Saraceni, in AA. VV., Dizionario Francescano, Assisi 1983, col. 1647-1672) l’idea di un’intesa impossibile e quindi la conseguente necessità di affidarsi alle armi verrà in seguito fatta propria dai francescani stessi fino al punto da attribuire a Francesco la giustificazione della crociata. A riprova di ciò essi adducono per esempio il testo di un ignoto scrittore francescano del secolo XIV che attribuisce a frate Illuminato da Rieti, compagno d’avventura del Santo, la testimonianza che Francesco davanti al sultano avrebbe apertamente giustificato la crociata in risposta ad un’obiezione in cui il sultano si appellava alla legge evangelica. La domanda che sorge inevitabile è se ciò sia vero o se non si voglia impedire a Francesco di dire ciò che noi oggi non vorremmo dicesse. L’argomento addotto da questi autori alla luce stessa dei testi citati come piú equilibrati e autentici non elimina del tutto i dubbi. L’autore della Storia di Eraclito sottolinea il disgusto di Francesco per la condotta dei crociati. Il cronista sente il bisogno di dare una spiegazione morale circa l’esito catastrofico della quinta crociata e la trova nel malcostume introdottosi nel campo cristiano. Egli si avvale della presenza di Francesco per fare tale sottolineatura, essendo egli ormai un uomo autorevole, un personaggio noto, in grado di avallare una simile tesi. L’impressione che alcuni riportano insomma è che i cronisti, ciascuno a suo modo, interpretino i fatti in maniera tale da renderli accettabili per gli uomini dell’epoca. Sospetti legittimi, in parte anche scontati, la questione è se siano tali da rendere credibile uno stravolgimento cosí profondo del pensiero di Francesco. Perché non accettare piú semplicemente invece la tesi del realismo e della radicalità evangelica di Francesco?
Fra i testi sopra citati, c'è n'è uno che vale pena di esaminare. Si tratta appunto del documento noto come Verba fratris Illuminati socii b. Francisci ad partes Orientis et in conspectu Soldani Aegypti (tratto dal codice Vat. Ottob. Lat. n. 552), in BBT, I, 36-37. Al riguardo si può vedere anche il testo di OLIGER L. Liber exemplorum, op. cit. nn. 98-99, 250-251. Ecco il testo, reperibile nella traduzione italiana anche in FF 2690-2691:
«1. Diceva il ministro generale (san Bonaventura), che frate Illuminato, già compagno di san Francesco nella sua missione dal sultano d'Egitto, era solito narrare questi episodi. Mentre Francesco era alla corte, il sultano volle mettere alla prova la fede e la devozione che egli mostrava d'avere verso il Signore nostro crocifisso. Un giorno fece stendere nella sala delle udienze uno splendido tappeto, decorato per intero con un motivo geometrico a forma di croce, e poi disse ai presenti: «Si chiami ora quell'uomo, che sembra essere un cristiano autentico; se per venire fino a me calpesterà con i suoi piedi questi segni di croce intessuti nel tappeto, l'accuseremo di fare ingiustizia al suo Signore; se invece si rifiuta di venire, gli domanderò perché commette questa scortesia di non venire fino a me». Chiamato, Francesco, che era pieno di Dio e da questa pienezza era bene istruito su quanto doveva fare e su quanto doveva dire, andò dritto dal sultano. Quegli, ritenendo d'aver motivo sufficiente per rimproverare l'uomo di Dio perché aveva fatto ingiuria al suo Signore Gesú Cristo, gli disse: «Voi cristiani adorate la croce, come segno speciale del vostro Dio; perché dunque non hai avuto timore a calpestare questi segni della croce disegnati sul tappeto»? Rispose il beato Francesco: «Dovete sapere che assieme al Signore nostro furono crocifissi anche due ladroni. Noi possediamo la vera croce del Signore e Salvatore nostro Gesú Cristo, e questa noi l'adoriamo e la circondiamo della piú profonda devozione. Ora, mentre questa santa e vera croce del Signore fu consegnata a noi, a voi invece sono state lasciate le croci dei due ladroni. Ecco perché non ho avuto paura di camminare sui segni della croce dei ladroni. Tra voi e per voi non c'è nulla della santa croce».
2. Il sultano gli sottopose anche un'altra questione: «Il vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vi vuol togliere la tonaca, ecc. Quanto piú voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre, ecc.». Rispose il beato Francesco: «Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Altrove, infatti, è detto: Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te (Mt 5,25). E con questo ha voluto insegnarci che se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti a separarlo, ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tenta di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione di lui quanti piú uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi». Tutti gli astanti furono presi da ammirazione per le risposte di lui».

Circa la legittimità della difesa
Nel testo appena esposto balza immediatamente all'occhio un nuovo elemento: la plausibilità, in linea di principio, delle campagne crociate. Stando alla testimonianza attribuita a frate Illuminato da Rieti, Francesco mette l'accento non sulla politica o l'economia o la cultura, ma, come è comprensibile, sulla fede. In Francesco la difesa della fede può giustificare l'azione crociata. San Bonaventura da Bagnoregio nell'opera In Hexaemeron, coll. XIX, n. 14, in Opera omnia V, 422 (cfr. et Miscellanea bonaventuriana, XV, 5) riferisce anche un altro episodio riguardante questo incontro, derivato dalla stessa fonte - e cioè frate Illuminato da Rieti - e che potrebbe aprire uno spiraglio sull'approccio culturale all'Islam all'epoca di Francesco:
«Ecco un esempio del beato Francesco, quando si recò a predicare al sultano. Questi gli domandò d'accettare una disputa con i ministri della sua religione. Ma il Santo gli rispose che non era possibile iniziare con loro una disputa sulla fede, perché se si voleva imbastirla sulla base della ragione, la fede è sopra i ragionamenti umani, se invece attraverso argomenti scritturistici, essi non accettavano la Scrittura. Insisteva perciò che piuttosto ci si sottomettesse insieme alla prova del fuoco: si preparasse un grande fuoco ed entrassero sia lui che i ministri della sua religione».
Francesco, in base a questo testo, sembra conosca sufficientemente i suoi interlocutori visto che rileva la relativa povertà degli elementi comuni per un dialogo efficace. Un confronto laico more hodierno sulla base della ragione però non era certo concepibile all'epoca. In realtà, anche oggi, eccezion fatta per alcuni ambiti modernisti dell'Islam, un approccio laico e puramente razionale fra Cristianesimo e Islam è molto difficile. Francesco ovviamente esclude anche l'argomento scritturistico, cioè biblico, sapendo bene che, a maggior ragione, un simile terreno di confronto sarebbe stato respinto. Rimaneva cosí solo il terreno della prassi, cioè della fede vissuta e dei segni, in questo caso quello del camminare in mezzo al fuoco: l'Islam, al di fuori di un ambito prettamente integralista, è sensibile ad una testimonianza cristiana autentica. Di fronte ad essa il credente mussulmano risponde non di rado con il rispetto e la tolleranza. Francesco lo sa ed è proprio su questo terreno che - a detta di San Bonaventura - potrebbe vincere il confronto. In ogni caso si tratterà di una vittoria sua, personale, non riuscirà purtroppo - ce lo conferma la storia - ad aprire un dialogo e un confronto culturale piú ampio, tanto meno aperto ad un'evoluzione politica e diplomatica pur sempre necessaria. A sfavore della prova del fuoco tuttavia si deve rilevare che il Concilio Lateranense IV del 1215 aveva condannato l'ordalia (const. 18, De iudicio sanguinis et duelli clericis interdicto) ed è difficile immaginare che Francesco volesse ricorrervi. Piú volte però San Bonaventura definisce e giustifica l'agire di Francesco... superno illustratus oraculo. È una sorta di allusione alla nota frase paolina: «L'uomo spirituale [...] giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno» (1Cor 2,15).
Resta, come già detto, un dubbio: fino a che punto queste testimonianze esprimono realmente lo spirito di Francesco? Non è facile dirlo. Non cosí per quanto riguarda il testo della sua Regola non bollata (RegNB XVI, 1-10: FF 42-43), della cui autenticità non possiamo dubitare, e dove ritroviamo senza dubbio il suo pensiero:
«Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe (Mt 10, 6). Perciò quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i Saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che essi sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione. I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non rinascerà per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno di Dio (Gv 3,5)».
In queste parole rivolte ai frati missionari, sembra proprio di cogliere lo stesso atteggiamento interiore rilevato nella Chronique d'Ernoul: Francesco è un vero uomo di pace, un uomo realista, concreto e alieno dai compromessi. Non accetta lo spirito di discordia, ma se un dialogo si rivela impossibile, ovvero sterile, accetta con un sereno spirito critico la scelta dell'interlocutore. Non cosí per i missionari invece ai quali dice: «siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio» (cfr. 1Pt 2,13). E piú avanti aggiunge: «E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesú Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: "Colui che perderà l'anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna"» (RegNB XVI, 10-11: FF 45). In ogni caso Francesco non guarda tanto all'aspetto politico-economico e nemmeno a quello culturale, egli è piú preoccupato per la fede, una fede che va testimoniata anche dinanzi alla spada minacciosa dell'Islam; una fede che è, in ultima analisi, il fondamento piú fecondo e vitale di tutta l'umana civiltà.
Certamente Francesco, potendo scegliere, non avrebbe mai voluto il ricorso alle crociate, ma da questo non si può certo affermare che le condannasse in blocco sic et simpliciter. Senza dubbio fu uno dei pochi uomini dell'epoca in grado di concepire vie nuove, al di là delle soluzioni puramente conflittuali, che apparivano come l'unica risposta possibile. Egli ebbe anche il coraggio della critica aperta, infatti, l'appello che Francesco rivolse al sultano e che la Chronique d'Ernoul ci ha trasmesso resta intatto, tagliente e sincero:
«Se tu, sire, vorrai credere alle nostre parole, noi consegneremo la tua anima a Dio, perché ti diciamo in verità che se tu morrai in questa legge che ora professi, sarai perduto né mai Dio avrà la tua anima. Proprio per questo noi siamo venuti. Ma se ci darai ascolto e vorrai comprendere, noi ti mostreremo con argomenti irrefutabili, alla presenza dei piú saggi dottori del regno, se li vorrai convocare, che la vostra legge è falsa» (FF 2232).

P. Antonio Atzeni Cappellano Militare

sabato 12 settembre 2009

La battaglia di Vienna (Anno Domini 1683)

Lo scenario politico-militare nella seconda metà del Seicento - secolo alquanto travagliato - appare oscuro e denso d'incertezze. La Guerra dei Trent'Anni (1618-1648), sotto le apparenze di una guerra di religione, era in realtà un confronto politico-militare fra la Casa regnante francese dei Borbone e quella degli Asburgo.
L'intento era quello di togliere agli Asburgo l'egemonia sulla Germania, che derivava loro dall'autorità imperiale. Per raggiungere questo scopo Armand du Plessis, meglio noto come cardinal Richelieu (1585-1642), inaugurando una politica fondata sul mero interesse nazionale a scapito di una visione europea e cattolica, si alleò con i principi protestanti.
I Trattati di Westfalia del 1648 sancirono l'indebolimento definitivo del Sacro Romano Impero. È cosí che sulla Germania, devastata, divisa fra cattolici e protestanti e separata politicamente, si stabilisce l'egemonia del re di Francia, Luigi XIV (1638-1715).
Il ruolo cosí raggiunto in Europa spinge il Re di Francia ad aspirare ormai alla corona imperiale e, in questa ottica, egli non esita a cercare perfino l'alleanza dell'Impero ottomano, del tutto avverso ad ogni ideale cristiano ed europeo. Sul finire del secolo dunque l'Europa è prostrata, divisa in se stessa tra fazioni religiose e lotte dinastiche, con una crisi economica e demografica conseguente alla guerra, che la resero quanto mai vulnerabile.


L'offensiva islamica
L'impero ottomano, che aveva conquistato i paesi balcanici fino alla pianura ungherese, il 1º agosto 1664 era stato temporaneamente bloccato dagli eserciti imperiali guidati da Raimondo Montecuccoli (1609-1680) nella battaglia di San Gottardo, in Ungheria.
Poco dopo però, sotto la guida strategica del Gran Visir Qara Mustafā (1634-1683), l'offensiva riprende, incoraggiata paradossalmente da Luigi XIV e dalla sua disinvolta politica anti-asburgica. Non poteva esserci momento piú favorevole per una campagna vittoriosa e ormai il cuore dell'Europa era alla portata delle armate ottomane.
Pressoché isolata, soltanto la Repubblica di Venezia impedisce ai Turchi di ottenere il dominio nell'Egeo, nella Grecia e nella Dalmazia. Si trattava però di una lotta ormai impari e, infatti, culminò nella perdita di Candia nel 1669, nonostante le eroiche gesta di Francesco Morosini (1618-1694).
Nel 1672 la Podolia - una parte dell'attuale Ucraina - viene sottratta alla Polonia e nel gennaio del 1683, ad Istanbul, le armate ottomane volgono in direzione dell'Ungheria. È un immenso esercito quello che si mette in marcia verso il cuore dell'Europa, sotto la guida di Qara Mustafā e di Maometto IV (1641-1692).
Il disegno che essi tentarono di realizzare era quello di una sorta di "grande Turchia europea e mussulmana" di cui Vienna doveva essere la futura capitale; una città che a sua volta sarebbe stata una testa di ponte verso il resto dell'Europa assediata e destinata alla sconfitta.
Le poche forze imperiali rimaste - rinforzate dalle milizie ungheresi guidate dal duca Carlo V di Lorena (1643-1690) - tentarono invano di resistere. Il gran condottiero al servizio degli Asburgo prese il comando, benché reduce da una gravissima malattia, dalla quale - si disse - l'avevano salvato le preghiere di un padre cappuccino, noto a molti come padre Marco da Aviano.
Padre Marco era stato inviato dal Papa presso l'Imperatore per perorare la causa della crociata anti-turca. Il primo atto di padre Marco fu quello di chiedere che in tutte le insegne imperiali fosse riportata l'immagine della Madre di Dio. Da allora le bandiere militari austriache porteranno sempre l'effigie della Madonna per i successivi due secoli e mezzo. Solo Adolf Hitler dopo la sua ascesa al potere le farà togliere.


L'inizio della battaglia decisiva
L'otto luglio del 1683 l'esercito ottomano avanza verso Vienna giungendovi il 13 luglio e cingendola d'assedio. Fu una marcia di conquista che non risparmiò le regioni attraversate, votando alla distruzione città e villaggi, chiese e conventi, massacrando e riducendo in schiavitú le popolazioni cosí sottomesse.
L'imperatore Leopoldo I (1640-1705), dopo aver affidato il comando militare al conte Ernst Rüdiger von Starhemberg (1638-1701), decise di lasciare Vienna e raggiunse la città di Linz per organizzare cosí la resistenza della Germania.
Nell'impero risuonavano ormai le "campane dei turchi", com'era già accaduto nel 1664 e nel secolo precedente, e iniziò la mobilitazione di tutte le forze disponibili.
L'imperatore avviò febbrilmente le trattative per chiamare a raccolta tutti i principi, cattolici e protestanti, tentando di contrastare l'opera diplomatica di Luigi XIV e di Federico Guglielmo di Brandeburgo (1620-1688). Fu cosí che chiese anche l'intervento dell'esercito polacco, appellandosi al supremo interesse della salvezza della Cristianità.


L'opera di Papa Innocenzo XI
In questo momento angoscioso la politica europea e orientale sapientemente promossa dalla Santa Sede da lunghi anni sortí i suoi frutti. Il merito fu in gran parte del cardinale Benedetto Odescalchi (1611-1689), eletto Papa nel 1676 (con il nome d'Innocenzo XI) e beatificato nel 1956 da Papa Pio XII.
Convinto assertore della crociata, il Pontefice, che da cardinale e governatore di Ferrara si era guadagnato il titolo di "padre dei poveri", avviò una politica lungimirante tesa a creare un sistema d'equilibrio fra i principi cristiani per indirizzare la loro azione politica contro l'Impero ottomano.
Avvalendosi di personalità eccezionali come i nunzi Obizzo Pallavicini (1632-1700), Francesco Buonvisi (1626-1700), padre Marco da Aviano ed altri, riuscí a comporre i contrasti in seno all'Europa, a pacificare la Polonia con l'Austria e perfino a favorire l'avvicinamento con il Brandeburgo (protestante) e con la Russia ortodossa.
Tutte le divisioni in seno alla Cristianità dovevano venir meno davanti alla difesa dell'Europa dall'islam. Fu cosí che, nonostante tutto, nel 1683 il Papa riuscí a creare una grande coalizione cristiana e a trovare le risorse necessarie per finanziare un'impresa politica e militare d'enormi proporzioni.


L'assedio di Vienna
Nella città intanto ebbe inizio la resistenza eroica all'assedio. Si calcola che circa 6.000 soldati e 5.000 uomini della difesa civica seppero far fronte all'Armata ottomana, forte di ben 300 cannoni. Nella città, solo la campana di Santo Stefano, ormai chiamata Angstern (angoscia), con i suoi rintocchi chiamava a raccolta i difensori. Gli assalti alle mura e gli scontri isolati erano pressoché continui, mentre i soccorsi erano ancora lontani.
Sollecitato dal Pontefice e dall'imperatore, il re di Polonia Giovanni III Sobieski (1624-1696), alla testa dell'esercito, si mosse a tappe forzate verso Vienna, che ormai già due volte aveva salvato la Polonia dai turchi. Finalmente il 31 agosto i suoi contingenti si congiunsero con quelli del duca Carlo di Lorena, che in seguito assunse il comando supremo.
L'esercito cristiano, tutte le forze di quell'Europa cosí prodigiosamente riunita, si mise in marcia verso Vienna, dove la situazione era ormai drammatica.
I turchi avevano aperto delle brecce nei bastioni e i difensori superstiti, dopo aver respinto decine d'attacchi ed effettuato numerose sortite, erano allo stremo delle forze. Le truppe ottomane avevano quasi il libero accesso all'Austria e alla Moravia. L'undici settembre Vienna visse con angoscia quella che parve l'ultima notte.
Von Starhemberg inviò a Carlo di Lorena un ultimo disperato messaggio: "Non perdete piú tempo, clementissimo Signore, non perdete piú tempo".


La battaglia finale
È l'alba del 12 settembre 1683, quando padre Marco da Aviano, dopo aver celebrato la Messa, servita dal re di Polonia, benedice e arringa l'esercito ormai schierato accompagnandolo in campo aperto. Poco dopo a Kalhenberg, presso Vienna, 65.000 cristiani affrontano in battaglia campale 200.000 ottomani.
A capo degli eserciti cristiani sono presenti i principi del Baden e di Sassonia, i signori di Turingia e di Holstein, i Wittelsbach di Baviera, il generale italiano conte Enea Silvio Caprara (1631-1701), il giovane principe Eugenio di Savoia (1663-1736), insieme ai polacchi e agli ungheresi.
La battaglia durò tutto il giorno e terminò con un'epica carica all'arma bianca, guidata da Sobieski in persona, che provocò finalmente lo sfacelo dell'Armata ottomana. Le forze europee scese in campo subiranno la perdita di circa 2.000 uomini contro le oltre 20.000 dell'avversario.
L'esercito ottomano fuggí in disordine abbandonando ogni cosa, ma non senza aver vilmente trucidato centinaia di prigionieri e di schiavi cristiani.
Il re di Polonia inviò al Papa le bandiere catturate accompagnandole da queste parole: "Veni, vidi, Deus vicit". Da allora, per volere di Papa Innocenzo XI, il 12 settembre è dedicato alla festa del Ss. Nome di Maria, in ricordo e in ringraziamento della vittoria.
Il giorno seguente l'Imperatore entrò nella Vienna liberata, alla testa dei principi dell'impero e delle truppe confederate. Nella cattedrale di Santo Stefano il vescovo di Vienna-Neustadt, poi cardinale, il conte Leopoldo Carlo Kollonic (1631-1707), celebrò un solenne Te Deum di ringraziamento.


Il riflusso dell'Islam
La vittoria di Kalhenberg e la liberazione di Vienna furono il punto di partenza per la controffensiva condotta dagli Asburgo contro l'impero ottomano. Gli anni che seguirono portarono alla liberazione dell'Ungheria, della Transilvania e della Croazia. Rientrato a Belgrado Qara Mustafā fu decapitato per ordine del Sultano.
Lo stesso Maometto IV verrà deposto nel 1687. Il fallimento del secondo assedio di Vienna è illustrato molto bene dalle parole del cronista ottomano contemporaneo Silihdar: «Fu una sconfitta disastrosa, grave come non ce n'erano mai state dalla nascita dello stato ottomano» (Sılıhdar Fındıclı Mehmed, Tarih, Istanbul 1928, II, 87).
Sotto le insegne imperiali le risorse di tedeschi, ungheresi, cechi, croati, slovacchi e italiani, costruirono una realtà multietnica e multireligiosa, che avrebbe dato all'Europa Orientale una sostanziale stabilità fino al 1918. Si era in un certo qual modo ripetuta l'opera di Papa san Pio V (1504-1572) a Lepanto, quando il 7 ottobre 1571 l'avanzata islamica ebbe una battuta d'arresto.
Per la svolta decisiva impressa alla storia dell'Europa Orientale la battaglia di Vienna può essere paragonata alla vittoria di Poitiers del 732, quando Carlo Martello (688-741) fermò l'avanzata degli arabi.
Nel 1684 nacque cosí la Lega Santa che vide un accordo fra tedeschi e polacchi, fra impero e imperatore, fra cattolici e protestanti, animata e promossa dalla diplomazia e dalla visione universalista della Santa Sede, tesa al perseguimento dell'obiettivo della liberazione dell'Europa dal dominio e dall'influenza turca e dall'affermazione dell'unità morale e politica dell'Europa.





Breve bibliografia

Macartney C. A., L'impero degli Asburgo, Milano, 1978.
Wandruszka A., Gli Asburgo, Milano, 1982;
Taylor A., La monarchia asburgica, Milano, 1985.
LEWIS B., Il suicidio dell'Islam. In che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale, Milano 2002.

venerdì 11 settembre 2009

REAGIRE AL TERRORE

Reagire alla paura, a tutte le paure, significa cominciare a vincere.Lottare contro il terrore è un dovere nei confronti della civiltà e delle future generazioni

Il nuovo ordine mondiale

Dopo i fatti del 1989, con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, molti hanno sperato in una nuova era di prosperità e di pace. L'inizio del nuovo millennio, nel caso ce ne fosse stato ancora bisogno, ha smentito questo auspicio. La logica del bipolarismo per oltre quaranta anni ha retto il mondo e ha condizionato fortemente la politica e la storia di molti popoli; la sua fine non poteva non rimettere in moto tutti quei processi sopiti che covavano sotto le ceneri, a cominciare dalle rivendicazioni nazionalistiche, alimentate o sostenute dalle tensioni politico-culturali e religiose.
Siamo immersi piú che mai in un’epoca di trasformazioni dalle quali scaturirà un diverso ordine mondiale. Riuscire a porre le basi per una soluzione realistica dei problemi contingenti è una sfida che ci impegnerà per lungo tempo e che richiederà piú che mai uno sforzo attento e intelligente. Potremmo essere tentati di rimandare questo compito o di affrontarlo in modo superficiale ma questo comporterà solo costi umani ed economici di gran lunga superiori: i problemi irrisolti si ripresenteranno nel futuro con maggiore virulenza e gravità. Non possiamo e non dobbiamo dunque permetterci alcuna superficialità, ecco perché è importante rispondere alle problematiche odierne esprimendo al massimo le nostre possibilità.
Il terrorismo che oggi ci insidia è anche la conseguenza di errori storici, di problemi politici e culturali irrisolti e incancreniti che interpellano i nostri popoli e le nostre coscienze. Sarebbe illusorio e pericoloso ritenere che le sue incognite siano risolvibili semplicisticamente in termini strategico-militari. L’intervento militare è talvolta inevitabile e necessario, soprattutto in un’ottica di contenimento e di emergenza, ma spesso non può risolvere la questione alla radice. La sfida può e deve essere affrontata anzitutto in un’ottica politica, culturale e di fede e sarà proprio su questi piani che potremmo davvero vincerla o perderla. Occorre identificare e perseguire non solo i responsabili del terrorismo, ma tutti quei processi politici, economici e culturali che ne alimentano in qualsiasi modo la fiamma. A ragione Paolo VI nella sua enciclica Populorum progressio (nn. 34, 76, 83, 87) ebbe saggiamente a ricordare che il nome nuovo della pace è sviluppo. Sviluppo a tutto campo, per tutti, nessuno escluso. Escludere popoli e nazioni dallo sviluppo significa porre le premesse non per l’ordine ma per il caos mondiale: è una facile profezia.
Sarebbe un grave errore tuttavia cadere nella trappola politica e mediatica fin troppo rozza consistente nell'identificare semplicisticamente buoni e cattivi. Il terrorismo è un problema serio ma la politica globale messa in atto per combatterlo non lo è da meno. Il rimedio in certi casi, alla lunga, potrebbe essere anche peggiore del male e le insistenti richieste di rinuncia alle garanzie democratiche in cambio di una maggiore ed illusoria sicurezza fanno pensare al peggio. Assieme al terrorismo dunque occorre combattere un'altro pericolo, quello totalitario, cui tendono i nostri sistemi politici sempre più autoreferenziali. Occorre dunque cercare ed esigere la verità, sempre la verità, per prima cosa, contro tutti i terrorismi e i totalitarismi.

I pregiudizi ideologici
Per rispondere efficacemente a queste sfide però occorre anche sgomberare il campo da tutti quei pregiudizi culturali che da troppo tempo ormai paralizzano la coscienza politica e culturale dell’Occidente. Ci sono ideologie e movimenti che da decenni puntano il dito sulle responsabilità storiche del mondo occidentale e non sempre si tratta di sana e auspicabile autocritica ma di profonda e radicale delegittimazione: Occidens delendum est - l’Occidente deve essere distrutto. A dirlo, molto prima delle attuali organizzazioni estremistiche, sono i movimenti culturali, eversivi e non, che trovano spesso nell’ideologia marxista-leninista la loro matrice primeva. Uno dei frutti tipici di quell’ideologia è stato appunto l’anti-occidentalismo. Prima del suo sorgere lo spirito antieuropeo albergava piú che altro in quei contesti soggetti al dominio coloniale e imperialistico dei grandi stati nazionali come - almeno in tempi piú recenti - Regno Unito, Francia, Olanda e Belgio. Occorre sottolineare tuttavia che questo spirito antieuropeo, eccetto alcuni casi particolari, non partiva tanto da posizioni propriamente ideologiche, quanto piuttosto da una naturale e spontanea opposizione allo straniero occupante. Un’occupazione non di rado priva di scrupoli, mossa dal puro profitto economico e dagli interessi strategici e colpevole di una gestione politica e sociale a dir poco irresponsabile.
Prima di continuare però occorre soffermarsi su un dato storico: l'imperialismo non è certo esclusivo dell'Occidente. Anche l'Oriente ha conosciuto una sete di dominio e di potere non meno feroce e omicida. Ne sanno qualcosa i popoli che per secoli subirono dominazioni come quella mongola, araba, ottomana e piú recentemente nipponica. L'impero ottomano, ad esempio, cessò di rappresentare un pericolo per l'Europa solo agli inizi del Novecento, dopo l'avvento della rivoluzione di Mustafa Kemal Atatürk. Lo spietato dominio ottomano - simboleggiato dai suoi “giannizzeri” - seminò il terrore in Occidente per circa seicento anni. Le sue armate giunsero fino alle porte di Vienna nel 1683, complice la Francia di Luigi XIV, e furono respinte in extremis dalle truppe dell’imperatore Leopoldo I, alle quali si erano unite le armate tedesche e quelle polacche di Giovanni Sobieski, grazie ad un gioco di pazienti alleanze politiche, militari e religiose, sostenute dalla Santa Sede, che sembravano umanamente irrealizzabili. Nonostante questa grande vittoria dell’Europa molti intellettuali dimostrano di avere una memoria corta, non cosí invece per le Crociate, assurte ad abusato luogo comune anticlericale, a dispetto della loro funzione difensiva e controffensiva: liberazione dei luoghi conquistati militarmente dagli eserciti mussulmani e salvaguardia delle vie commerciali per l’Oriente. L’Europa insomma nel grande club imperialista assumerà un ruolo davvero preponderante solo in tempi relativamente recenti, grazie anche alle superiori conoscenze tecnologiche sollecitate dalla rivoluzione industriale che favoriranno l’espansione coloniale ottocentesca. L’Occidente assumerà cosí grandi responsabilità storiche ma non certo da protagonista unico della scena mondiale. Il mito dell’Oriente saggio e buono per definizione, infatti, come il “mito del buon selvaggio” di Jean-Jacques Rousseau e di una certa letteratura illuminista, è solo il parto di fervide e ingenue fantasie occidentali.

L'anti-occidentalismo marxista-leninista
Con l’avvento dell’ideologia marxista-leninista sorgerà un anti-occidentalismo radicale e soprattutto piú diffuso. Il mondo occidentale, vittima del suo stesso liberismo sfrenato, genererà in sé il male ideologico che gli avvelenerà la vita e ne minerà l’unità, la coscienza e l’identità fino ai nostri giorni. L’Occidente verrà dipinto cosí come il portatore di tutti gli errori e di tutti gli orrori: secoli e millenni di civiltà verranno sconfessati e denunciati dai novelli ideologi che guarderanno a Oriente come al luogo della salvezza e della libertà. L’Unione Sovietica di Lenin, di Stalin e Breznev, la Cina di Mao, il Vietnam, la Cambogia, perfino Cuba e le nuove teologie della liberazione accenderanno le speranze mal riposte - historia docet - di molti occidentali, pronti a farne propaganda, piú o meno in buona fede, ma spesso ben lungi dal farne l’esperienza sulla propria persona. Criticare la civiltà e la cultura occidentali dall’interno del loro contesto liberale non è poi cosí rischioso e molti intellettuali vengono assecondati da lobby culturali e politiche che si pretendono alternative e che sono avide di novità tanto piú gradite quanto piú dissacranti. Anche a livello filosofico, sociologico e scientifico sorgeranno teorie e movimenti che getteranno le basi per una critica radicale e non di rado con esiti devastanti.
Un vasto movimento culturale e d’opinione - ancora oggi - ha preso come obiettivo la delegittimazione dell’Occidente e della sua cultura a cominciare dalle sue radici giudeo-cristiane; un movimento che paradossalmente è nato e si è affermato proprio nelle fertili scuole e nei raffinati collegi e campus universitari occidentali. Si tratta di storia recente dunque e mentre il blocco orientale a partire dagli anni ‘50 si avviava verso un’era impressionante di militarizzazione forzata, nel mondo occidentale il fenomeno pacifista esplodeva con tempismo perfetto: un pacifismo a senso unico però che si è sempre guardato bene dall’agire oltre la “cortina di ferro”. Cosí scriveva, infatti, il giornalista e storico Indro Montanelli nel 1988:
«Secondo qualcuno, è stato il diffondersi dei movimenti pacifisti che ha costretto le classi dirigenti di tutto il mondo a prendere atto della ribellione delle coscienze a qualsiasi forma di violenza. [...] L'ipotesi è un'autentica bufala molto facile da smascherare. I conflitti che fin qui insanguinavano il mondo si svolgevano in terre e latitudini in cui di pacifismo non c'era neanche l'ombra. La propaganda e i movimenti pacifisti attecchiscono e si sviluppano nei paesi democratici dove la pace c'è già. Una volta che alcuni loro adepti italiani vollero andare a propagandarli nella Russia di Breznev furono impacchettati e rispediti al mittente» (MONTANELLI I., Oggi, 31 agosto 1988).
Sí, l'Occidente ha le sue responsabilità, ma ha anche meriti incontestabili, come l'aver portato al mondo intero l'ideale della dignità dell'uomo e della libertà, con tutti i valori che ne conseguono, uniti ad una sincera capacità autocritica mai vista prima nella storia: i grandi sistemi culturali dell'Oriente concepiscono l'autocritica dell'individuo di fronte al sistema, mai quella del sistema stesso. Goffredo Parise, nel suo libro Cara Cina (Longanesi 1966) affermò che l'Occidente dalla Cina deve apprendere lo stile, la Cina dall'Occidente deve apprendere la libertà. È vero, l'Occidente e l'Oriente devono sapersi integrare l'uno con l'altro dando al mondo la possibilità di respirare con entrambi i polmoni. Anche l'Oriente ha le sue responsabilità, ha i suoi meriti incontestabili... e i suoi gravi, gravissimi errori storici. Perché le grandi civiltà che pure ha espresso sono scomparse o non sono state capaci di evolversi? Perché l'Islam fin dal suo sorgere ha coltivato un'aggressiva politica imperialistica? Perché pur avendo trasmesso parte dell'antica cultura greca non ha sentito l'esigenza di integrarla in un autentico processo evolutivo? Perché non è sorta dalle sue istanze la scintilla del moderno progresso scientifico, tecnologico e culturale? Perché non ne è scaturita la stessa scintilla della libertà che è nata per esempio dalla Rivoluzione Americana? Perché non ne è sorta la chiara percezione della dignità dell'uomo che invece verrà sancita inequivocabilmente da tutte le legislazioni occidentali? Il fatto è che il problema dell'Islam è l'Islam stesso, ciò che molti, anche in Occidente, non hanno il coraggio di affermare.

Islam, scienza e cristianesimo
Molti, ma non tutti. Vale la pena di riportare un testo che è di estrema chiarezza circa la problematica del rapporto tra l'Islam e la scienza. Un dissidio che non ha trovato risposte e che il cristianesimo invece è riuscito a superare brillantemente, preconcetti ideologici a parte. Così scrive Frank J. Typler, fisico matematico alla Tulane University di New Orleans:
«Nel 1982 l’Istituto di studi politici di Islamabad, in Pakistan, raccomandò che i libri di testo scientifici venissero modificati per sottolineare che ogni mutamento era dovuto non all’azione della legge fisica ma a Dio:
C’è un veleno latente nel sottotitolo L’energia causa i mutamenti, perché dà l’impressione che l’energia, piuttosto che Allah, sia la vera causa. Analogamente, è antiislamico insegnare che la combinazione di idrogeno e ossigeno produce automaticamente acqua. Il punto di vista islamico è questo: quando gli atomi di idrogeno si avvicinano agli atomi di ossigeno, per volontà di Dio, si forma acqua.
Il sottinteso è che Dio potrebbe cambiare idea un istante dopo, e l’acqua non si formerebbe piú. Il teologo musulmano Abu Hamid Mohammed al-Ghazali (1058-1111), famoso per aver favorito l’accoglienza del sufismo (misticismo musulmano) nell’islam ortodosso, scrisse un libro, L’incoerenza dei filosofi, in cui attaccava l’idea di causa ed effetto, e ne concludeva che la conoscenza scientifica è impossibile. Invece di seguire i filosofi naturali (o scienziati) e dire che il fuoco brucia il cotone, sosteneva:
«Questo lo neghiamo, dicendo: l’agente della combustione è Dio, mediante la creazione del nero nel cotone e la separazione delle sue parti, ed è Dio che ha fatto bruciare il cotone, o tramite la mediazione degli angeli o senza mediazione. Perché il fuoco è un corpo morto, che non ha azione, e qual è la prova che sia l’agente? In effetti i filosofi [gli scienziati] non hanno altra prova che l’osservazione del verificarsi della combustione, quando c’è contatto con il fuoco, ma l’osservazione dimostra soltanto una simultaneità, non un rapporto di causa ed effetto, e in realtà non c’è altra causa che Dio. I teologi sufi seguirono al-Ghazali insistendo che le leggi fisiche non esistono perché Dio distrugge e ricrea l’universo in ogni istante».
Nel corso dei miei studi piuttosto ampi sull’islam, non sono mai riuscito a trovare una sola scoperta scientifica significativa compiuta nell’intera storia della civiltà islamica fino al XX secolo. Gli esempi di risultati scientifici documentati da parte di studiosi islamici sono sostanzialmente banali. Tutta la fisica e tutta l’astronomia moderne derivano dall’opera dei cristiani Galileo (1564-1642) e Copernico (1473-1543), che in pratica erano all’oscuro dell’«opera» degli «scienziati» islamici, e presero invece le mosse dall’opera dei greci Archimede (290-211 a.C.) e Tolomeo (100-170 d.C.), rispettivamente. Dal punto di vista della scienza, la civiltà islamica è come se non fosse esistita. Attribuisco questo fatto alle dottrine teologiche islamiche, appena richiamate, contrarie all’idea di leggi naturali confermate a livello sperimentale, e anche al fatto che, in tutta la storia islamica, chiunque fosse in disaccordo con la teologia prevalente è stato sempre considerato un apostata, e un numero schiacciante di giuristi islamici ha convenuto che la pena per l’apostasia sia la morte. Nessuno cercherà le leggi di natura se anche il solo ipotizzare che esistano lo rende soggetto alla pena capitale. Nel 1983 si tenne in Kuwait un convegno di diciassette rettori di università arabe. Il principale argomento di discussione fu la domanda «La scienza è islamica?». La delegazione saudita sostenne che la risposta è no, essendo la scienza intrinsecamente laica e quindi, per ciò stesso, in contrasto con il credo islamico.
C’è una leggenda (falsa), forse messa in circolazione da critici cristiani dell’islam, secondo la quale, quando gli eserciti musulmani conquistarono la capitale dell’Egitto Alessandria, il loro capo, il secondo califfo Omar (‘Umar ibn al-Khattab, 586-644), ordinò che i libri della biblioteca fossero bruciati per scaldare l’acqua per il bagno dei soldati musulmani. Se i libri erano in contrasto con il Corano, erano eretici, e se erano in accordo con esso, erano superflui. In entrambi i casi dovevano essere distrutti. In realtà, la grande biblioteca di Alessandria aveva cessato di essere menzionata da testimoni oculari fin dal 100 a.C. circa, e nell’elenco dei capi bibliotecari non ci sono nomi successivi a quell’epoca, e quindi probabilmente la biblioteca aveva cessato di esistere verso il 100 a.C., forse distrutta durante il regno caotico del re egizio Tolomeo VIII, noto alla storia come Tolomeo lo Psicotico. (Non sto scherzando, questo era veramente il soprannome datogli dagli storici greci dopo la sua morte; la parola usata era psychon, che può essere tradotta anche con «ostile».) Cosí né i cristiani (che ne sono stati spesso accusati) né i musulmani furono responsabili della distruzione della grande biblioteca. La pretesa che fanatici religiosi abbiano bruciato la biblioteca è un mito. Ma ci fu una differenza cruciale tra le reazioni dei cristiani e dei musulmani a questo mito. I cristiani sentirono l’esigenza di scusarsene; molti studiosi musulmani, invece, prendendo per vero il mito, lo citarono con approvazione. In effetti, i libri in disaccordo con il Corano andavano distrutti, e non c’era alcun bisogno di leggere altri libri oltre il Corano.
C’è una sola eccezione alla regola che non vi siano stati e non vi siano importanti scienziati musulmani: Mohammed Abdus Salam (1926-1996). Salam fu uno dei principali creatori del modello standard della fisica delle particelle, una teoria che è assolutamente fondamentale per questo libro. Ho descritto il modello standard nel II capitolo e, come vedremo nell’VIII capitolo, esso è cruciale per comprendere come si sia verificata la resurrezione di Gesú. Saiam ricevette meritatamente il premio Nobel per la fisica nel 1979 per le sue ricerche sul modello standard, e la sua idea che la gravità quantistica possa rendere finita la teoria quantistica dei campi è essenziale per la teoria dei Punto Omega sul futuro ultimo, sebbene troppo complessa dai punto di vista tecnico per essere descritta qui. Salam era un musulmano nel senso che si definiva tale, e tutti coloro che lo hanno conosciuto sono convinti che fosse assolutamente sincero nel considerarsi un musulmano.
Salam è l’eccezione che conferma la regola. Con un atto del parlamento pakistano, nel 1974 la setta islamica ahmadi, cui Salam apparteneva, fu dichiarata eretica e soggetta a persecuzione. Pervez Hoodbhoy, coautore con Saiam di Islam and Science, ha riferito sul suo sito web nel 2002: «Al mio vicino della porta accanto, un ahmadi, hanno sparato al collo e al cuore ed è morto sulla mia automobile mentre lo portavo all’ospedale. La sua unica colpa era di essere nato nella setta sbagliata». Salam lasciò il nativo Pakistan negli anni ‘50, rendendosi conto che, in quel paese, fare della fisica sul serio sarebbe stato impossibile. Se fosse rimasto in Pakistan e avesse ugualmente raggiunto i risultati che poi ottenne come professore di fisica all’Università di Londra, sarebbe diventato il piú eminente ahmadi del Pakistan e, come tale, sarebbe probabilmente andato incontro alla stessa sorte del vicino di Hoodbhoy.
Muzaffar Iqbal, in un libro intitolato anch’esso Islam and Science, non menziona neppure una volta il massimo scienziato islamico di tutti i tempi, Abdus Salam, anche se il libro fu scritto nel 2002, in gran parte proprio per contraddire quello di Hoodbhoy e Salam, e pretendeva di costituire un esame approfondito delle conquiste scientifiche dell’islam. Iqbal menziona soltanto Hoodbhoy. Salam era un eretico, e quindi non un musulmano. Nel loro libro, Hoodbhoy e Salam avevano mostrato come pressoché tutti gli scienziati musulmani oggi considerati significativi fossero stati perseguitati al loro tempo. Come i difensori contemporanei dell’islam, il fisico francese cattolico Pierre Duhem (1861-1916) tentò di dimostrare che gli studiosi medievali cristiani avevano dato importanti contributi alla fisica, per esempio introducendo il concetto di inerzia. Né gli studiosi musulmani della cosiddetta Età dell’oro dell’islam (ca. 700-1100) né gli studiosi medievali cristiani diedero alcun contributo significativo alla fisica. Come ho sottolineato in precedenza, né Copernico né Galileo erano al corrente di questi «contributi significativi».
Nondimeno, la scienza moderna è stata una creazione della civiltà cristiana. Il periodo creativo della fisica e dell’astronomia greche ebbe termine intorno al 100 a.C. Questa data finale è importante, perché a volte si sostiene che fu l’ascesa dei cristianesimo a porre fine alla scienza greca. Non è cosí, come mostra il seguente elenco di fisici e astronomi greci, con le rispettive date di nascita e morte:
Pitagora di Sarno (580-500 a.C.), il primo grande matematico greco. La sua scuola scoprí il teorema che porta il suo nome e dimostrò l’esistenza dei numeri irrazionali.
Socrate (470-399 a.C.)
Platone (428-347 a.C.), il filosofo che era convinto che tutta la fisica dovesse basarsi sulla matematica.
Teeteto di Atene (417-369 a.C.)
Eudosso di Cnido (395-337 a.C.)
Aristotele (384-322 a.C.), il filosofo che sostenne che il moto non può essere descritto dalla matematica. I principali oppositori di Galileo erano seguaci di Aristotele.
Euclide di Alessandria (attivo tra il 323 e il 285 a.C.)
Aristarco di Sarno (attivo tra 310 e il 230 a.C.), il primo a proporre un sistema solare eliocentrico.
Archimede di Siracusa (290-211 a.C.)
Apollonio di Perga (260-190 a.C.)
Ipparco di Nicea (200-127 a.C.)
Ipsicle di Alessandria (190-120 a.C.)
Fine dei periodo creativo della scienza greca (ca. 100 a.C.)
(Fine della grande biblioteca di Alessandria)
Erone di Alessandria (attivo intorno al 60 d.C.)
Tolomeo di Alessandria (100-170 d.C.)
Diofanto di Alessandria (attivo intorno al 250 d.C.)
Pappo di Alessandria (attivo intorno al 320 d.C.)
Ipazia di Alessandria (370-415 d.C.), uccisa da una folla di cristiani.
Queste date indicano che le vite dei matematici e dei fisici elencati - al tempo dei greci non c’era distinzione tra le due categorie - si sovrapposero parzialmente, e che essi avrebbero potuto conoscersi» (cfr. TYPLER F. J., La fisica del cristianesimo..., Mondadori Ed., Milano, 2008, 138-142).
Il contrasto fra i valori e la prassi in Occidente purtroppo può essere bruciante, ma è molto piú bruciante il silenzio - quando non addirittura la negazione teorica e pratica - di molte culture e legislazioni orientali. Ancora oggi, molti paesi orientali, quelli islamici per primi, non hanno sottoscritto la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, altri hanno proposto una serie di vaghe "dichiarazioni islamiche dei diritti dell'uomo", con il serio limite di essere ambigue quanto a terminologia, formulazioni e contenuti. Il problema oltretutto è che per l'Islam «"l'azione di Allah nella storia coincide con l'azione dei suoi fedeli, le vittorie dei suoi fedeli sono le sue vittorie, ma anche le sconfitte dei suoi fedeli sono le sue sconfitte. Gravato da una cosí pesante responsabilità, l'uomo musulmano ha finito per non osare piú nulla di radicalmente nuovo". E questo spiega l'immobilismo della sua "cultura" rispetto, per esempio, a quella giapponese. Da questa frustrazione nasce l'odierno terrorismo integralista, che ha il fine dichiarato della restaurazione del califfato» (cfr. RONZA R., Il Giornale, 17 luglio 2005).

L'integrazione possibile
Nonostante questo, secoli di civiltà occidentale ci impediscono procedere per semplicistiche contrapposizioni: non si tratta di decidere fra Occidente e Oriente, ma di capire come integrare l'uno con l'altro in un dialogo fecondo per entrambi. Non si può disprezzare il patrimonio dell’Oriente, ma non si può certo non amare quello dell’Occidente che ha dato all’umanità un patrimonio perenne e intramontabile di cultura e di civiltà. Difendere questo patrimonio è un dovere per tutti, degli europei per primi. E invece c’è una parte dell’Occidente che, pur vivendoci agiatamente, odia l’Occidente. Alcuni mass media, opinion leaders e intellettuali vogliono imporre il teorema ideologico per cui l’Occidente cristiano è sempre e comunque colpevole. Assistiamo cosí ad un liberalismo sempre piú impotente che ha rinunciato alla difesa di se stesso sfoggiando un laicismo tanto presuntuoso e settario quanto debole ed esitante di fronte agli attacchi dell’ideologia islamica fondamentalista. Un’ideologia apprezzata - ormai è evidente - anche per il suo anti-americanismo. L’impressione però, confortata dalla storia recente, è che questo apprezzamento costi e costerà sempre piú caro a tutto l’Occidente e alla lunga all’intero ordine mondiale.
Realisticamente parlando l'Occidente, Stati Uniti fra i primi, ricopre un ruolo fondamentale nella storia dell'umanità; che può e deve essere integrato ma che non può essere sostituito radicalmente da altri sistemi politici culturali. L'Occidente ha certamente bisogno di una critica seria e costruttiva ma è illusorio pensare che si possa avere un futuro senza il suo apporto decisivo: il crollo dell'Occidente, fosse pure limitato al solo contesto nord-americano, alla fine rappresenterebbe un colpo ed un'involuzione disastrosa per il mondo intero. Ecco perché è insensato gridare: Occidens delendum est. L'obbiettivo può essere uno solo: migliorare e progredire, non certo corrodere e distruggere. I manovali del terrore in ultima analisi non possono vincere e la loro tattica suicida è un segno eloquente di questa intrinseca debolezza, di questo "vuoto d'umanità" che lascia dietro di sé solo la morte, senza alcuna speranza, senza nessuna compassione. Agiscono cosí a causa di una concezione raccapricciante di un "credo" per il quale la vita umana, anche la piú innocente, non ha autentico valore e dignità. Quante giovani vite sacrificate nei suoi innumerevoli falò del terrore, contro i quali dobbiamo ricordare: «Non si trovi in mezzo a te chi immola, facendoli passare per il fuoco, il suo figlio o la sua figlia [...] perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore» (Dt 18,10-12). Questo secolo dunque rischia di vedere il collasso dell'Islam, per la sua infedeltà alle istanze spirituali più profonde dell'uomo, ma anche quello dell'Occidente come lo conosciamo oggi, per la sua infedeltà al Vangelo e alle sue radici fondamentali. La speranza è che la Chiesa come seppe far rinascere la civiltà dalle rovine dell'antico impero romano possa fare altrettanto da quelle della modernità atea e materialistica.

La guerra "giusta"
«Non si trovi in mezzo a te chi immola, facendoli passare per il fuoco, suo figlio o la sua figlia [...] perché chiunque fa queste cose è abominio al Signore» (Dt 18,10-12). Quella del Deuteronomio, prestata a questo contesto, è una parola che condanna la fede negli idoli e i sacrifici umani agli dei falsi. Non è falsa una fede che chiama santa una guerra e martire un assassino suicida? Non è corretto condannare sic et simpliciter una fede religiosa in quanto tale, ma è lecito, anzi doveroso, giudicare la condotta di ciascuno. È possibile accettare che alcuni per giustificare azioni in sé disumane dichiarino di conformare la loro condotta ai precetti di una religione? Se cosí fosse, infatti, si porrebbero due alternative: o quell'asserzione è palesemente infondata, e allora essa dovrebbe essere inequivocabilmente condannata dagli altri correligionari; oppure quell'asserzione è vera e allora ci sono buoni motivi per ritenere quella fede decisamente inaccettabile.
Nessuna guerra è santa essendo radicalmente inficiata da un’intrinseca ingiustizia. L’unico vero sconfitto di ogni guerra è l’uomo, l’unica vera vincitrice di ogni guerra è la guerra stessa e ciò è iniquo. Una guerra al piú può essere riconosciuta come evitabile o inevitabile, quindi purtroppo necessaria, ma non santa. Il Catechismo della Chiesa Cattolica al riguardo afferma:
«Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad adoperarsi per evitare le guerre. "Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa" (GS 79)» (n. 2308).
«Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:
- Che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo.
- Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci.
- Che ci siano fondate condizioni di successo.
- Che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini piú gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.
Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della "guerra giusta". La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune» (n. 2309).
Non deve trarre in inganno l'espressione "guerra giusta" usata spesso in passato nel contesto ecclesiale. L'aggettivo "giusta" è riferito non alla guerra in sé - cosa intrinsecamente cattiva - quanto alle sue cause che possono essere giuste o ingiuste o - se si preferisce - ragionevoli o irragionevoli. L'aggettivo "giusto" in questo caso non vuole essere tanto un qualificativo morale quanto un'indicazione di plausibilità delle sue cause: la causa può essere giusta, ma mai la guerra in sé con le sue dinamiche irrimediabilmente disumane e perciò anticristiane. Poste queste necessarie premesse prenderemo in considerazione l'atteggiamento profetico che Francesco di Assisi manifestò dinanzi al drammatico conflitto che già ai suoi tempi infuriava fra l'Occidente e il mondo islamico in pieno espansionismo, perché di espansionismo condotto manu militari si trattava e non certo di pacifica espansione.

P. Antonio Atzeni Cappellano Militare

mercoledì 14 gennaio 2009

BERLUSCONI SARÀ TRADITO (di Oriana Fallaci)

Berlusconi qualcosa di buono, infondo, lo ha fatto. Non ha imitato il cinico populismo di Zapatero. In politica estera ha dimostrato d’aver più coraggio di quanto credessi quando lo accusai di non aver palle e gli buttai in faccia l’esempio di mia madre che fa a pezzi l’uomo dal quale s’è sentita dire Signora, domattina-alle-6-fucileremo-suo-marito. Ha anche frenato un po’ le orde dell’avanzata islamica, ripeto. E dulcis in fundo: la libertà ce l’ha mantenuta. Però so che i Maramaldi in grado d’ucciderlo non sono i suoi sgangherati avversari. Sono i suoi insinceri alleati. Gli omìni che in piazza Montecitorio vanno a spasso con l’opposizione. Che per un pugno di voti si sono montati la testa e lo pugnalano coi ricatti. Che per non tradirlo esigono nuove poltrone ministeriali. Lo uccideranno loro, sì.

martedì 13 gennaio 2009

OCCIDENTE RASSEGNATO (di Oriana Fallaci)

Chi si indigna, oggi, per il marocchino che infrangendo il Codice Penale tiene due o tre mogli e vorrebbe mettere il burkah anche a me? Chi si arrabbia,oggi, con l’albanese che gestisce la prostituzione e che ubriaco investe i passanti, li uccide? Chi si oppone, oggi, al sudanese che fa la pipì sui monumenti e spaccia la droga sui sagrati delle chiese? Chi protesta, oggi, contro il somalo che per salvare il barbaro principio dell’infibulazione inventa e diffonde attraverso un pubblico ospedale la farsa della cosiddetta soft-infibulation? Chi si scandalizza, oggi, per l’algerino che aggredisce o ricatta il carabiniere in procinto di arrestarlo? «Guarda-che se- ti-avvicini-mi-taglio-il-cazzo- con-questa-lametta-poi-di co-che-me-l'hai-tagliato-tu-e in- galera-ci-finisci-tu» dicono, quasi sempre, in quella circostanza. Chi si sorprende, oggi, per gli articoli strappalacrime dei cosiddetti giornali indipendenti o per le oltraggiose insensatezze di quelli che come l’Unità darebbero il permesso di soggiorno anche a Bin Laden? La gente è rassegnata, ormai. Abituata, addormentata. Subisce queste cose passivamente, le accetta come l’alternarsi delle stagioni.

lunedì 12 gennaio 2009

L’IRAQ DOPO SADDAM (di Oriana Fallaci)

Il prezzo per toglierlo di mezzo è stato troppo alto. Il terrorismo islamico s’è moltiplicato, i morti hanno partorito altri morti, continuano a partorire morti, partoriranno sempre più morti. E prima o poi ci ritroveremo con una Repubblica Islamica dell’Iraq. Ossia con un paese nel quale i mullah e gli imam impongono i burkah, lapidano le donne che vanno dal parrucchiere, impiccano la gente allo stadio. Quindi tanto valeva tenersi Saddam Hussein. Io non mi stancherò mai di ripeterlo: la democrazia non si può regalare come una stecca di cioccolata. La democrazia bisogna conquistarsela. Per conquistarsela bisogna volerla. Per volerla bisogna sapere cos’è. Gli iracheni non lo sanno. Ancor meno la capiscono. E di conseguenza non la vogliono. Nontanto perché sono diseducati da ventiquattr’anni di dittatura feroce quanto perché sono mussulmani: assimilati dalla teocrazia e incapaci di scegliere il proprio destino.

domenica 11 gennaio 2009

ECCO COS’È IL CORANO (di Oriana Fallaci)

Perché non si può purgare l’impurgabile, censurare l’incensurabile, correggere l’incorreggibile. Ed anche dopo aver cercato il pelo nell’uovo, paragonato l’edizione della Rizzoli con quella dell’Ucoii, qualsiasi islamista con un po' di cervello ti dirà che qualsiasi testo tu scelga la sostanza non cambia. Le Sure sulla jihad intesa come Guerra Santa rimangono. E così le punizioni corporali. Così la poligamia, la sottomissione anzi la schiavizzazione della donna. Così l’odio per l’Occidente, le maledizioni ai cristiani e agli ebrei cioè ai cani infedeli. Così l’incompatibilità fra la teocrazia e lo Stato di Diritto. Inutile arrampicarsi sugli specchi: il Corano è ciò che è. E i fondamentalisti, gli integralisti, non sono il suo volto degenere. Sono il suo vero volto, il suo volto fedele. Ergo, un buon mussulmano non può esser moderato. Non può accettare lo Stato di Diritto, la libertà, la democrazia, la nostra Costituzione, le nostre leggi. L’Islam moderato non esiste.

sabato 10 gennaio 2009

LA SINISTRA BUONISTA (di Oriana Fallaci)

Per tenersi a galla, oggi bisogna stare a Sinistra. E non solo perché merita economicamente e politicamente, perché ti assicura l’impiego e ti garantisce il potere, ma perché è di moda. Sissignori, è una moda ormai stare a Sinistra. Una moda come portare le gonne lunghe o le gonne corte, andare a Cortina oppure no. È un conformismo, una convenzione. Soprattutto per i banchieri e i magnati e i presunti intellettuali che frequentano posti come il Tepidarium. Per i giornalisti e le giornaliste e i direttori di giornali che facendo i filoislamici e gli antiamericani intascanostipendi da capogiro. Per gli stilisti che vendendo cenci da cinquantamila euro al pezzo si comprano storici palazzi e piani interi da Bloomingdale’s. Per la Confindustria che fa lingua in bocca con laCgil, insomma per quella che in America si chiama the Caviar Left. La Sinistra al Caviale. Mah!Io non ci capisco piùnulla. Quando ero bambina, i comunisti volevano che i ricchi si vergognassero d’essere ricchi. Sostenevano che la proprietà è un furto. Ora, se non sei ricco, ti sputano addosso. E spesso sono più ricchi dei ricchi di allora. Adorano illusso e dicono di volersi battere per il superfluo.

venerdì 9 gennaio 2009

L’ISLAM MODERATO NON ESISTE (di Oriana Fallaci)

Il declino dell’intelligenza è il declino della Ragione. E tutto ciò che oggi accade in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione. Prima d’essere eticamente sbagliato è intellettualmente sbagliato. Contro Ragione. Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l’Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l’affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l’arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell’Avvenir è contro Ragione.

giovedì 8 gennaio 2009

INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE (di Oriana Fallaci)

La storia delle frittelle al marsala offre uno squarcio significativo sulla presunta integrazione con cui si cerca di far credere che esiste un Islam ben distinto dall’Islam del terrorismo. Un Islam mite, progredito, moderato, quindi pronto a capire la nostra cultura e a rispettare la nostra libertà. Virgilio infatti ha una sorellina che va alle elementari e una nonna che fa le frittelle di riso come si usa in Toscana. Cioè con un cucchiaio di marsala dentro l’impasto. Tempo addietro la sorellina se le portò a scuola, le offrì ai compagni di classe, e tra i compagni di classe c’è un bambino mussulmano. Al bambino mussulmano piacquero in modo particolare, così quel giorno tornò a casa strillando tutto contento: «Mamma, me le fai anche te le frittelle di riso al marsala? Le ho mangiate stamania scuola e...». Apriti cielo. L’indomani il padre di detto bambino si presentò alla preside col Corano in pugno. Le disse che aver offerto le frittelle col liquore a suo figlio era stato un oltraggio ad Allah, e dopo aver preteso le scuse la diffidò dal lasciar portare quell’immondo cibo a scuola. Cosa per cui Virgilio mi rammenta che negli asili non si erige più il Presepe, che nelle aule si toglie dal muro il crocifisso,che nelle mense studentesche s’è abolito il maiale. Poi si pone il fatale interrogativo: «Ma chi deve integrarsi, noi o loro?».

mercoledì 7 gennaio 2009

ADDIO EUROPA, C’È L’EURABIA (di Oriana Fallaci)

L’Europa non c’è più. C’è l’Eurabia. Che cosa intende per Europa? Una cosiddetta Unione Europea che nella sua ridicola e truffaldina Costituzione accantona quindi nega le nostre radici cristiane, la nostra essenza? L’Unione Europea è solo il club finanziario che dico io.Un club voluto dagli eterni padroni di questo continente cioè dalla Francia e dalla Germania. È una bugia per tenere in piedi il fottutissimo euro e sostenere l’antiamericanismo, l’odio per l’Occidente. È una scusa per pagare stipendi sfacciati ed esenti da tasse agli europarlamentari che come i funzionari della Commissione Europea se la spassano a Bruxelles. È un trucco per ficcare il naso nelle nostre tasche e introdurre cibi geneticamente modificati nel nostro organismo. Sicché oltre a crescere ignorando il sapore della Verità le nuovegenerazioni crescono senza conoscere il sapore del buon nutrimento. E insieme al cancro dell’anima si beccano il cancro del corpo.

martedì 6 gennaio 2009

CONQUISTA DEMOGRAFICA (di Oriana Fallaci)

Nell’Europa soggiogata il tema della fertilità islamica è un tabù che nessuno osa sfidare. Se ci provi, finisci dritto in tribunale per razzismo-xenofobia- blasfemia. Ma nessun processo liberticida potrà mai negare ciò di cui essi stessi si vantano. Ossia il fatto che nell’ultimo mezzo secolo i mussulmani siano cresciuti del 235 per cento (i cristiani solo del 47 per cento). Che nel 1996 fossero un miliardo e 483 milioni. Nel 2001, un miliardo e 624 milioni. Nel 2002, un miliardo e 657 milioni. Nessun giudice liberticida potrà mai ignorare i dati, forniti dall’Onu, che ai mussulmani attribuiscono un tasso di crescita oscillante tra il 4,60 e il 6,40 per cento all’anno (i cristiani, solo 1’1 e 40 per cento). [...] Nessuna legge liberticida potrà mai smentire che proprio grazie a quella travolgente fertilità negli Anni Settanta e Ottanta gli sciiti abbiano potuto impossessarsi di Beirut, spodestare la maggioranza cristiano-maronita. Tantomeno potrà negare che nell’Unione Europea i neonati mussulmani siano ogni anno il dieci per cento, che a Bruxelles raggiungano il trenta per cento, a Marsiglia il sessanta per cento, e che in varie città italiane la percentuale stia salendo drammaticamente sicché nel 2015 gli attuali cinquecentomila nipotini di Allah da noi saranno almeno un milione.

lunedì 5 gennaio 2009

MULTICULTURALISMO, CHE PANZANA (di Oriana Fallaci)

L’Eurabia hacostruito la panzana del pacifismo multiculturalista, ha sostituito il termine «migliore» col termine «diverso-differente», s’è messa a blaterare che non esistono civiltà migliori. Non esistono principii e valori migliori, esistono soltanto diversità e differenze di comportamento. Questo ha criminalizzato anzi criminalizza chi esprime giudizi, chi indica meriti e demeriti, chi distingue il Bene dal Male e chiama il Male col proprio nome. Che l’Europa vive nella paurae che il terrorismo islamico ha un obbiettivo molto preciso: distruggere l’Occidente ossia cancellare i nostri principii, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra civiltà. Ma il mio discorso è caduto nel vuoto. Perché? Perché nessuno o quasi nessuno l’ha raccolto. Perché anche per lui i vassalli della Destra stupida e della Sinistra bugiarda, gli intellettuali e i giornali e le tv insomma i tiranni del Politically Correct, hanno messo in atto la Congiura del Silenzio. Hanno fatto di quel tema un tabù.

domenica 4 gennaio 2009

UNA STRAGE IN ITALIA? (di Oriana Fallaci)

La strage toccherà davvero anche a noi, la prossima volta toccherà davvero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l’ho mai avuto. E aggiungo: non ci hanno ancora attaccato in quanto avevano bisogno della landing-zone, della testa di ponte, del comodo avamposto che si chiama Italia. Comodo geograficamente perché è il più vicino al Medio Oriente e all’Africa cioè ai paesi cheforniscono il grosso della truppa. Comodo strategicamente perché a quella truppa offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà. Ma presto si scateneranno. [...] Molti italiani nonci credono ancora. Si comportano come i bambini per cui la parola Morte non ha alcun significato. O come gli scriteriati cui la morte sembra una disgrazia che riguarda gli altri e basta. Nel caso peggiore, una disgrazia che li colpirà per ultimi. Peggio: credono che per scansarla basti fare i furbi cioè leccarle i piedi.

sabato 3 gennaio 2009

DIALOGO TRA CIVILTÀ (di Oriana Fallaci)

Apriti cielo se chiedi qual è l’altra civiltà, cosa c’è di civile in una civiltà che non conosce neanche il significatodella parola libertà. Che per libertà, hurryya, intende «emancipazione dalla schiavitù». Che la parola hurryya la coniò soltanto alla fine dell’Ottocento per poter firmare un trattato commerciale. Che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate. Che dei Diritti dell’Uomo da noi tanto strombazzati e verso i musulmani scrupolosamente applicati non vuole neanche sentirne parlare. Infatti rifiuta di sottoscrivere la Carta dei Diritti Umani compilata dall’Onu e la sostituisce con la Carta dei Diritti Umani compilata dalla Conferenza Araba. Apriti cielo anche se chiedi che cosa c’è di civile in una civiltà che tratta le donne come le tratta. L’Islam è il Corano, cari miei. Comunquee dovunque. E il Corano è incompatibile con la Libertà, è incompatibile con la Democrazia, è incompatibile con i Diritti Umani. È incompatibile col concetto di civiltà.

venerdì 2 gennaio 2009

IL CROCEFISSO SPARIRÀ (di Oriana Fallaci)

Un nemico che appena installato nelle nostre città o nelle nostre campagne si abbandona alle prepotenze ed esige l’alloggio gratuito o semi-gratuito nonché il voto e la cittadinanza. Tutte cose che ottiene senza difficoltà. Un nemico che ci impone le proprie regole e i propri costumi. Chebandisce il maiale dalle mense delle scuole,delle fabbriche, delle prigioni. Che aggredisce la maestra o la preside perché una scolara bene educata ha gentilmente offerto al compagno di classe musulmano la frittella di riso al marsala cioè «col liquore». E-attenta-a-non-ripeter-l’oltraggio. Un nemico che negli asili vuole abolire anzi abolisce il Presepe e Babbo Natale. Che il crocifisso lo toglie dalle aule scolastiche, lo getta giù dalle finestre degli ospedali, lo definisce «un cadaverino ignudo e messo lì per spaventare i bambini musulmani». Un nemico che in Inghilterra s’imbottisce le scarpe di esplosivo onde far saltare in aria il jumbo del volo Parigi- Miami. Un nemico che ad Amsterdam uccide Theo van Gogh colpevole di girare documentari sulla schiavitù delle musulmane e che dopo averlo ucciso gli apre il ventre, ci ficca dentro una lettera con la condanna a morte della sua migliore amica. Il nemico, infine, per il quale trovi sempre un magistrato clemente cioè pronto a scarcerarlo. E che i governi eurobei (ndr:nonsi tratta d’un errore tipografico,voglio proprio dire eurobei non europei) non espellono neanche se è clandestino.

giovedì 1 gennaio 2009

IL NEMICO È IN CASA (di Oriana Fallaci)

Continua la fandonia dell’Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un’esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in paesi lontani. Bé, ilnemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa[...] Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all’occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente- inserito-nel-nostro sistema- sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l’automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in blue jeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità [...] Un nemico che in nome dell’umanitarismo e dell’asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di Accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della «necessità » (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l’Olimpo Costituzionale. «Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi» [...] Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all’imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l’Eurabia sicché per andare daLondra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l’esplosivo che vuole: nessunolo ferma, nessuno lo tocca.